Quando Milano urlò di gioia. Banchi: The Shot e la tripla di David Moss…

A cinque anni dallo scudetto che fece esplodere Milano ROM ricorda con Luca Banchi: Il momento in cui ho capito? La tripla di David Moss

«Il momento in cui ho capito? La tripla di David Moss. Sai, durante una partita sei come in trance, concentrato su tante cose. Ma dopo quel canestro ho iniziato a cercare lo sguardo delle persone a me vicine, delle persone più care, quelle che sapevano la stagione che avevo vissuto, la stagione per cui avevo lavorato».

Luca Banchi è tornato da poco in Italia dopo la campagna di Grecia. Lo attende un’estate di studio e preparazione, macchina da basket incapace di conoscere la parola pausa: «Sono cinque anni da quello Scudetto? Francamente non lo sapevo, non ricordavo fossimo arrivati così avanti con il calendario, siamo quasi a fine giugno…».

Ma cinque anni dopo ogni ricordo, ogni attimo, è ben impresso nell’uomo che ha riportato il tricolore a Milano. E allora, in quello che per molti tifosi è il Natale dell’Olimpia, riviviamo con lui quell’epica cavalcata.

L’EuroLeague

«L’Eurolega riempì il nostro serbatoio di stima e consapevolezza ma prosciugò inevitabilmente le energie. Era stata un’annata dispendiosa, fatta anche di aggiustamenti in corsa: non è mai semplice rigenerare tutto questo in vista di un playoff nazionale». 

Era una missione che da fuori si poteva sottovalutare. Momenti di dominio europeo rischiavano di banalizzare lo sprint italiano. Ma niente era scontato: «Non fu facile resettare e ripartire dopo il Maccabi. Ci attendeva quello che era l’obiettivo unico, obbligato. Quando firmai con Milano Livio Proli fu chiaro. Ricordo ancora le sue precise parole. Mi chiese lo scudetto “senza ripetere l’errore del passato di inseguire una campagna europea che ha dimostrato di non essere al momento alla nostra portata”. Io risposi che il fine doveva essere il tricolore, certo, ma non si poteva prescinder da una vocazione europea».

E dopo tutto quel cammino, il presente era quasi paradossale: «Avevamo riempito il Forum, creato un’identità di gioco, sfiorato le Final Four. Eppure sì, perdere quello scudetto avrebbe reso la stagione fallimentare».

Cose di sport. Cose di basket. Cose di Milano.

Pistoia

«Nessuno lo ricorda, ma le prime due gare le giocammo su due campi diversi. La domenica al Forum si era giocata la finale di EuroLeague. Ci ritrovammo con canestri diversi, strutture diverse, scenari diversi. La situazione “normale” venne riallestita solo per gara-2».

E l’avversario era tutt’altro che banale, nonostante tutto: «Eravamo la prima contro l’ottava, noi per tutti chiamati a dominare, loro a giocare senza pressioni. Eppure, Pistoia, era una squadra di livello: Wanamaker, Washington, JaJuan Johnson, Daniel…».

L’avvio fu sereno, poi…: «Due  buone vittorie, meglio la prima. A Pistoia trovammo un ambiente infuocato, cademmo nella provocazione, dilapidammo vantaggi importanti, ci ritrovammo anche arbitraggi non all’altezza ma fummo complici di quelle sconfitte».

E si arriva a gara-5: «Senza Alessandro Gentile, squalificato, e con Nicolò Melli non disponibile di fatto. Una prestazione di sostanza mista alla presa di coscienza di quanto sarebbe stato duro il cammino verso lo scudetto».

Sassari

«Vincere tre volte a Sassari mi diede segnali positivi. D’altronde, la storia racconta come Milano abbia spesso sofferto il fattore campo». 

Infatti Milano perde gara-2 e gara-5 al Forum, ma in Sardegna controlla la squadra di Meo Sacchetti, già killer in Coppa Italia: «Era una squadra di talento, ben allenata, senza pressioni, ma ripeto, a Sassari vidi segnali molto importanti».

Siena

«Sceneggiatura crudele. Per me, Moss, Hackett, Kangur… Prima della prima palla a due potevo solo definirla così: una sceneggiatura crudele. In realtà, a posteriori, fu molto peggio».

L’Olimpia parte forte, senza sapere di avere nel cuore un lato oscuro: «Fu un buon avvio, niente da dire. Due belle vittorie. Siena scelse di raddoppiare Samuels, era una nostra certezza e si ritrovò un po’ fuori dallo score. Ci sfidarono sul tiro da fuori, la squadra seppe trovare diverse alternative».

Poi, Siena: «E lì misero a nudo tutti i nostri timori». Il famoso lato oscuro: «E arrivò anche la sconfitta del Forum. Eppure trovai, in quella negatività, una grande fermezza di squadra nell’affrontare il dopogara».

Seguono ore infinite, di attesa: «Il viaggio verso Siena, l’allenamento alla palestra del CUS locale, la necessità di tenere la squadra isolata da tutto. E gli aggiustamenti: momenti di zona per rallentare il ritmo e togliere riferimenti all’avversario. Fu una gara ben gestita, venne meno la lucidità in alcuni momenti chiave, eppure la squadra fu cinica nel finale».

Fino alla giocata di Curtis Jerrells: «The shot. Io ero pronto al timeout in caso di canestro avversario o di rimessa. Il resto lo fece lui. Non ebbi il tempo di pensare, Curtis aveva una dirompente determinazione. E trovò quella giocata».

E arrivò quel 27 giugno 2014: «Gara incredibile, smarrimento nel terzo quarto, risorse nell’ultimo, anche giocando con quattro guardie, con Langford in panchina, Moss da 4 e Melli da 5 per cambiare sistematicamente. Dovevo dosare, canalizzare, e potevo farlo grazie ad una squadra versatile come nessun’altra nella mia carriera, che seppe sconcertare tanti avversari in Europa anche per fisicità, impatto».

E si torna a quella tripla di David Moss: «Fu una liberazione. Per tutti. L’invasione impedì una regolare premiazione, l’entusiasmo fu pazzesco. Ricordo ancora di un Giorgio Armani portato letteralmente a braccia sino al tavolo dei giudici per la premiazione. Un vero e proprio abbraccio totale con la città, anche se non poso dimenticare l’amarezza di tante persone che si preparavano alla conclusione di una lunga storia».

Cinque anni dopo, Milano non può dimenticare il coach che gli permise di tornare ad urlare di gioia. Un urlo lungo diciotto anni. 

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