La Supercoppa e il tempo che volge al sereno: il gioco di Pianigiani e la fondamentale convivenza tra Theodore e Goudelock

Vittoria meritata ed importante quella dell’Olimpia a Forlì: Supercoppa 2017 in bacheca ed iniezione di fiducia verso la costruzione di una squadra che oggi, come è abbastanza normale che sia, non c’è ancora. Vincere è dolce abitudine ma, soprattutto,  permette di affrontare il lavoro settimanale in palestra con uno spirito migliore. Conoscendo l’ambiente milanese, non esattamente il più tranquillo del mondo, ed aggiungendovi un calendario di Eurolega che, tra il 12 ed il 26 ottobre, nelle prime quattro giornate, regalerà CSKA, Fenerbahce, Real e Barcellona, nonché la successiva complicata trasferta di Tel Aviv, il successo di ieri assume un’importanza ancor maggiore.

Successo ben diverso dal totale dominio di un anno fa, quando Avellino fu asfaltata 90-72 in un delle due migliori versioni del biennio repesiano (con la Coppa Italia 2016), ma ogni squadra ha una storia propria, nel momento dell’essere ed in quello del divenire: l’auspicio, per chi tifa Milano, è che anche il proseguimento della stagione sia ben diverso.

L’Olimpia 17/18 è una squadra che ha una caratteristica fondamentale ed imprescindibile nel gioco di oggi: due guardie che, palla in mano, sono pericolose ed in grado di creare dal nulla. Se il backcourt delle stagioni precedenti aveva poco o nulla in questo senso, quello odierno è in una versione necessaria sia per primeggiare in Italia che per provare a competere in Europa. Haynes, Jenkins e Johnson non sono Rodriguez ed Higgins, piuttosto che Pressey, Rice ed Heurtel, oppure Sloukas, Wanamaker e Dixon. Chiaro. E non sono nemmeno McCollum e Josh Adams o magari Dee Bost e Pangos. La sfida europea milanese partirà dal provare a competere con questi pari ruolo di assoluta eccellenza, che saranno gli avversari di trenta serate che oggi intrigano prima di preoccupare.

Jordan Theodore ed Andrew Goudelock hanno già ed avranno in mano il destino Olimpia sino a giugno. Il primo si sta dimostrando giocatore di livello e leader: non vi erano tanti dubbi in tal senso, soprattutto dopo aver visto quanto seppe combinare contro le avversarie partecipanti all’Eurolega nel campionato turco. Ora il salto di qualità arriverà se saprà portare la squadra al piano di sopra. Di Drew Goudelock si sapeva perfino di più: atleta superiore per talento, sempre notevole come cifre, in grado di realizzare contro chiunque. Il prossimo passo, quello dell’eccellenza, arriverà se tali numeri saranno frutto del lavoro di squadra, quel che mancò sia al Fenerbahce che al Maccabi. Dalla convivenza e dalla condivisone di responsabilità tra questi due atleti potrà derivare una Milano eccellente: se mancherà questa chimica, saranno guai.

Il weekend forlivese ha fornito alcune indicazioni già abbastanza chiare sull’impianto di gioco biancorosso.

I due set offensivi base prevedono la classica partenza “corna” dell’epopea senese, con due lunghi al gomito e gli esterni aperti verso l’angolo, nonché il pick and roll centrale col lungo che sale a portare il blocco. Quel che si è visto, in chiaro divenire, visto che siamo a fine settembre, sono due situazioni assai diverse, con pro e contro.

Nel primo caso vi è una maggiore ricerca della circolazione di palla, tuttavia ancora limitata dal rispetto delle regole di esecuzione, nel tentativo di coinvolgere maggiormente  quasi tutti i giocatori. Nel caso di p&r centrale, invece, sebbene i risultati siano stati molto più incisivi grazie a Theodore, si è registrata una notevole staticità dei tre giocatori non coinvolti nel primo movimento. In realtà, trattandosi di due set molto comuni all’interno della pallacanestro europea, credo che l’adattamento non dovrebbe essere così difficile. Un’ulteriore differenza è rappresentata dal fatto che nella prima soluzione il post basso venga totalmente tralasciato, mentre nel secondo caso il lungo rollante è almeno parte di un primo momento offensivo. A questo proposito, a testimonianza di una qualità assolutamente da migliorare, il dato assist-perse dei due giorni: 13-11 contro Trento e 8-13 contro Venezia. In quest’ultima gara fa specie che 5-3 sia la singola ratio di JT, mentre il resto della squadra si è reso protagonista di un poco lusinghiero 3-10. Probabile che il riferimento di Pianigiani al «Non siamo nulla» riguardi questa parte del gioco, ovvero la mancanza di qualità cestistica.

Notevole upgrade, rispetto allo scorso anno, il fatto di avere quelle due guardie di cui si è detto, in grado di caricarsi la squadra sulle spalle nel momento topico: il Goudelock degli ultimi minuti ne è palese dimostrazione.

Molto interessante la possibilità di p&r tra 2 e 3 piuttosto che tra 3 e 4: Amath M’Baye, con Goudelock, sarà la chiave di un movimento “alla Menetti” che potrebbe pagare alti dividendi. Bertans non può essere lasciato in disparte in questo senso, pur non essendo giocatore da p&r puro.

Molto da rivedere l’attitudine al rimbalzo, troppo spesso limitata allo sfruttamento delle proprie caratteristiche fisiche piuttosto che di un vero e proprio “tagliafuori” ben eseguito. 31-39 con Trento è voce chiarissima.

A livello di difesa, viste le chiare falle di Goudelock, è necessario che i lunghi entrino nel possesso con maggiore incisività, poiché solo le rotazioni possono coprire un tale problema, altrimenti si cade in una situazione recentemente vista con Kruno Simon. Quegli stessi lunghi che hanno dimostrato lacune di un certo tipo sul pick and roll centrale, anche per la scarsa collaborazione di chi stava con gli esterni in angolo. Qui sarà scelta importante sui close-out: si tratta esattamente dello stesso problema della nazionale del 2015, che il coach senese dovrà affrontare profondamente. La scelta è chiara: difendere su quel p&r 2vs2 e restare quasi faccia  a faccia con gli esterni, come fece Banchi contro Siena nel 2014, oppure ruotare? Scelte, appunto, su cui lavorare. Con Young sarebbe un certo tipo di lavoro, senza sarà ben più dura.

Piccola annotazione sulle caratteristiche difensive di Jordan Theodore. Che non sia la parte del gioco che ami di più è palese, che però, come tanti grandi, si limiti a difendere duro quando serve, è altrettanto probabile. Ecco, Jordan, da metà ottobre servirà sempre…

Buona la prima quindi per Milano, di cui è piaciuta l’attitudine mentale nei momenti di difficoltà. Il giocatore-capo, tanto citato, è fondamentale in questi frangenti. Una pallacanestro che si conosceva, perfettamente nelle corde del coach di Siena, assolutamente remunerativa al giorno d’oggi. Per alcune domande, tipo il minutaggio estremo di Theodore e l’utilizzo degli italiani, c’è tempo. Che, dopo una vittoria, volge al sereno.

Alberto Marzagalia

One thought on “La Supercoppa e il tempo che volge al sereno: il gioco di Pianigiani e la fondamentale convivenza tra Theodore e Goudelock

  1. A me pare che Gudaitis abbia già buoni movimenti in area avversaria, almeno da quanto ho potuto vedere in tv, braccia lunghe e ben aperte, posizione spesso ottima, in vantaggio sul difensore, ma la palla gli arriva poco. Anche quando il play è Cincia e non Theodore – che il secondo si capisce che abbia altro per la testa, almeno perora, e in pomeriggi come ieri, ma il primo non si capisce come mai non veda il lungo. Capisco, per continuare col tema, che non lo vedano quando il lungo è Cusin, che non tira nemmeno da solo sotto canestro – ieri per esempio, e forse per nemesi, l’unica volta che finalmente ci ha provato, dopo avere avuto almeno un paio di altre occasioni, gli hanno fatto male… Porto l’attenzione su questo aspetto perché con gli esterni di gran livello che abbiamo, e includo Bertans che mi pare molto motivato e molto difensore, non sprecare quel piccolo vantaggio di avere i lunghi in grado di farsi spazio in area, è un bug del momento piuttosto doloroso, ma anche, spero, correggibile. Senza contare che, secondo me, con Tarc in campo, la capacità di farsi spazio in area, è ancora maggiore. Poi lui ha movimenti a canestro minori di Gudaitis, ma è capace di prendere un sacco di palloni al ferro.

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