A che punto è Milano? Alti e bassi dell’ennesima ricostruzione, dopo due mesi di stagione

Sergio Scariolo, Luca Banchi, Jasmin Repesa e Simone Pianigiani: così diversi, così simili. Cosa possono avere in comune quattro coach dalle tanto differenti idee tecniche? La parola progetto, segnatamente quello milanese, cui si può aggiungere senza esitazione l’aggettivo “interrotto” (bruscamente), nei primi tre casi, sempre dopo il secondo anno di conduzione tecnica.                                                                                                                  2011: 12 giocatori nuovi e 3 inserimenti a stagione in corso. 2012: 5 nuovi e 4 aggiunte. 2013: 9+4. 2014: 5+2. 2015: 11+3. 2016: 6+1. 2017: 9+1. Numeri eclatanti di fronte ai quali si può certamente affermare che  le tante delusioni meneghine degli ultimi anni hanno per ragione primaria l’incapacità di creare un nucleo base su cui lavorare, costruire e migliorare. Di contro, è molto chiaro come lo sforzo messo in campo dalla società non sia mai mancato, almeno quantitativamente. Nessun titolo nel biennio di Scariolo, lo scudetto 2014 nella gestione Banchi, 1 scudetto (2016), due titoli di Coppa Italia e quello di Supercoppa (2016) in era Repesa. Per ora, ma è presto per giudicare, Supercoppa 2017 in bacheca con in panca Pianigiani. Tecnicamente parlando il momento di massimo splendore è senza alcun dubbio legato al Banchi 1 ed a quella TOP 16 che fece crollare, di fronte alla favolosa difesa milanese, quasi tutte le grandi d’Europa. L’errore, probabilmente, più grosso di questi 7 anni è stato quello di non aver dato continuità tecnica a quel progetto, virando su giocatori del tutto lontani dalla pallacanestro del coach grossetano, come attestarono le scelte dei Playoff 2015.

Questa è storia, importante perché dovrebbe insegnare, ma ormai alle spalle. Oggi, dopo due mesi di stagione agonistica, in aggiunta a quello di preparazione, come sta l’Olimpia di Pianigiani?                                                                                                                                                Benino, non benissimo, ma nemmeno malaccio: si potrebbe parlare di una situazione “in divenire”, con tanti aspetti positivi così come diversi problemi, nella quale è corretto dare tempo e fiducia allo staff ed ai giocatori, come si deve e si sarebbe dovuto fare, nei fatti e non nelle parole, in tutti gli anni precedenti.

I numeri, come sempre, ci aiutano, ma non sono il solo ed esclusivo parametro di giudizio, anche perché, come vedremo, sono a volte contraddittori e di complicata interpretazione.

Milano ha statistiche offensive, in #LBA, terribili. Nona per punti segnati (77,3), ultima per assist (11,4 dove Venezia ne smazza 19,5), quinta da due punti (53%) e tredicesima da tre (30,6%), mentre perde 13,1 palloni, assestandosi al quinto posto (leader BS con solo 11,4 perse). La qualità del gioco espressa dalla ratio assist/perse dice 86,7%, dato almeno inquietante (tredicesima). Tiene botta a rimbalzo, senza eccellere: quinta con 38,1 a gara, mentre ne concede 34,4 (terza) in quella che è la statistica più trasversale sui 28 metri (idealmente vale un 75% difensivo ed un 25% offensivo).

In difesa il discorso è diverso e più redditizio. 71,4 puoi subiti (seconda), concede il 46% da due (unico primo posto solitario in tutte le voci), il 34,2% da tre (ottava) ed obbliga gli avversari a 13,9 perse (sesta). Curioso che sia la squadra contro la quale gli avversari tirano peggio dalla lunetta: al 66,2% condivide il primato con Reggio. 18,38 i falli fatti a gara, mentre ne subisce 19.

Quindi? Male l’attacco e bene la difesa? Assai limitativo, soprattutto se si guarda ai numeri europei, che per certi versi sconvolgono il dato nazionale. Pensiamo a quel dato assist/perse, che ci inquietava poco fa: in Eurolega l’Olimpia è quarta col 162,35%, ovvero assoluta eccellenza. I passaggi vincenti salgono a 15,33, che vuol sì dire tredicesimo posto, ma accompagnati da sole 9,44 perse (primato assoluto continentale) valgono quel dato ottimo. Ed allora la domanda sorge spontanea: i milanesi si occupano con cura del pallone solo in settimana, mentre la domenica lo lasciano al proprio destino? Ovvio che no, e forse una ragione c’è e si chiama Mantas Kalnietis e la struttura dei tre piccoli, col lituano schierato in ala piccola, che spesso si è vista nelle nove gare continentali. Come per altri temi, sarebbe interessantissimo potrebbe discutere con il coach, che è l’unico reale custode di questi segreti.

Contro avversari terribilmente più forti, i biancorossi segnano di più rispetto al campionato : 80,78 a gara, contro i suddetti 77,3. Sesta squadra per punti segnati, ma, ahimè, quella che ne subisce di più. 86,44 a serata sono uno sproposito che non porta da nessuna parte, come già la stagione scorsa (87,37) ha dimostrato e come la classifica dopo 9 turni  dice con chiarezza: le ultime della classe sono quasi tutte le peggiori in difesa. Altro dato pessimo e sinistramente simile al passato è la percentuale da tre concessa agli avversari : 43,82%,  12 punti percentuali più della migliore, che è il Barça. Lo scorso anno il 38,83% fu sufficiente per essere disgrazia, terzo peggior dato del torneo, tra l’altro concedendo ben 25,67 tentativi a sera. Sempre in area europea, si va bene a rimbalzo, tirandone giù 34,44 di media (sesta), mentre tornando alla ratio assist/perse, se si viaggia bene davanti, dietro è notte fonda, col 182,80% concesso ed un solitario ultimo posto a quasi 80 punti percentuali (!) dall’Olympiacos, manco a dirlo primo. Ed è tutto chiaro se si è quindicesimi per assist concessi (18,89) e per perse provocate (10,33).

Ok, i numeri, ma la qualità globale della pallacanestro milanese va di pari passo con queste statistiche o no? Parzialmente. Molto bene, anzi ottimamente, un lato del concetto di squadra. Gli uomini di Pianigiani mollano difficilmente e sono una brutta gatta da pelare per tanti squadroni. Non è una cosa da poco ed è notevole base su cui lavorare: se ci sei psicologicamente, puoi crescere tecnicamente, mentre il contrario è più difficile. Abbiamo ripetuto mille volte che le belle sconfitte sono un concetto caro a chi è abituato a perdere, ma qui si tratta di dare un valore alla prestazione e questo è stato ottimo spesso, dal punto di vista dell’applicazione e del mordente. Altra cosa, ben diversa, è la qualità della pallacanestro tecnica espressa. Che è bassa, molto bassa e monocorde. Sia chiaro che si tratta di giudizio assai personale, ma l’entrata nei giochi con lo stucchevole “pick and roll”, principalmente centrale, ad alto livello (Europa) porta a ben poco, come dimostrano i set offensivi delle squadre migliori, Fenerbahce su tutte. Questo benedetto o maledetto p&r non è il male assoluto, anzi, ma lo diventa se è soluzione unica. I troppi isolamenti, o meglio, gli 1vs1 forzati, sono l’altra brutta faccia di Milano, al pari di quei due uomini troppo soli ed immobili in attesa degli scarichi. Il lato debole è spesso, più che debole, inesistente e questo è dovuto alla staticità. Quello che hanno imparato a fare Datome, prima, e Melli ora al Fenerbahce (ma vi sono anche notevoli meriti di Trinchieri in questo) dovrebbe essere ( magari lo è, anche qui sarebbe bello chiederlo al coach) la traccia di lavoro principale dell’attacco meneghino. Anche per il successivo bilanciamento difensivo, fondamentale.

Quindi, tutto male nella qualità di gioco? No, assolutamente, perché vi sono diverse situazioni in cui basterà rendere meccaniche alcune soluzioni per far viaggiare l’ingranaggio al meglio. La dimostrazione è quella struttura, troppo frettolosamente descritta come “della disperazione”, con Kalnietis in ala piccola: ovvio che, nel processo di costruzione e con poco tempo a disposizione, un coach scelga gli uomini che hanno maggiore confidenza col pallone e siano in grado di creare qualcosa di più. Non è disperazione oggi, ma lo diverrà solo se si confermerà come unica arma. Ha detto benissimo, al solito, Massimo Pisa su Repubblica la scorsa settimana: funziona il piano B, ma ci vuole il piano A.                                                                                                                      Sul lato difensivo il principale problema è la pressione ed il contenimento sui portatori di palla e sugli esterni in genere, che spesso si confondono. Tentare troppo spesso l’azione aggressiva sulla palla è sintomo di poca continuità e scarsa applicazione difensiva: ai bambini piccoli si insegnava (quando la pallacanestro si insegnava…) a non cercare la palla. Ecco, nella semplicità dei concetti del gioco, sta il miglioramento della difesa milanese. Perché troppo sovente si sono visti i lunghi in grave difficoltà (leggi carico di falli, sempre notevole) per errori che avvenivano a sei-sette metri dal ferro: attaccati in velocità ed in sovrannumero, cosa possono fare i vari Gudaitis e Tarczewski?

Ultima annotazione, altro tema sul quale sarebbe interessantissimo (e sia detto con reale curiosità verso la tipologia di lavoro in corso)  avere l’opinione del coach, riguardo lo stato di emergenza e di mancanza di energia lamentato dall’allenatore stesso in molti frangenti di questo inizio stagione: un semplice perché, tralasciando che ogni due-tre giorni giocano tutti, quindi, al fine di interpretare le ragioni di alcuni stati fisici, singoli e globali, di livello non adeguato.

Milano è un cantiere, come è normale che sia dopo 70 giorni di gare ufficiali, ma la strada non può rimanere chiusa a lungo, perché il traffico, soprattutto quello europeo, non attende. Ha perfettamente ragione Pianigiani quando dice che l’Eurolega Olimpia non deve finire mai, indipendentemente dal record, ma attenzione, perché il quarto progetto dobbiamo ancora capire tutti se sarà, nei fatti diverso dagli altri. Con buona pace del “vissuto”, che non ha quasi nessuno e soprattutto non è concetto di casa al Forum.

 

 

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