Museo del Basket: Quando le strade di Kobe e dell’Olimpia si incrociarono

A una settimana dal tragico destino che ha colpito Kobe Bryant, Museo del Basket ricorda i momenti in cui il «Mamba» toccò le sorti di Olimpia Milano

A una settimana dal tragico destino che ha colpito Kobe Bryant e la sua meravigliosa famiglia, Museo del Basket ricorda i momenti in cui il «Mamba» toccò le sorti di Olimpia Milano. Ecco alcuni passaggi:

Il nostro racconto ha inizio il 31 luglio del 1999 quando il Corriere della sera, in un piccolo trafiletto, riporta la notizia di un ritorno dell’interessamento dell’imprenditore italo-americano Pasquale Caputo per l’acquisto dell’Olimpia Milano da Bepi Stefanel. Pasquale Caputo, nato a Mola di Bari, trasferitosi a Chicago è titolare della “Wisconsin Cheese, Inc”, ditta specializzata nella produzione di formaggi con un fatturato annuo da 90 miliardi di vecchie lire, e negli USA si è appassionato di basket seguendo i Bulls.

Ma cosa c’entra Kobe con tutto questo? La “Kobe Bryant Enterprises”, una società che al tempo gestiva gli interessi del giocatore, a fine ottobre del 1999 acquista una quota consistente dell’Olimpia. Suo padre Joe, ottimo giocatore che ha calcato i nostri parquet per sette anni ad altissimi livelli, entra cosi nel consiglio di amministrazione e, successivamente, diventa anche vice presidente di Caputo, mentre Kobe, che parla benissimo l’italiano e periodicamente torna in Italia dove da ragazzo è cresciuto e ha studiato tra i 5 e i 13 anni, ne è entusiasta. Dirà Joe in occasione di un’intervista rilasciata alla Gazzetta che, se il professionista è in America, l’uomo Kobe e i suoi affetti sono qui da noi, e l’Olimpia è un’occasione per rafforzare il legame.

La vita gli ha regalato, purtroppo, un finale diverso ma nel 1999 Joe lasciava aperta una porta per l’approdo di Kobe all’Olimpia come giocatore: “Mio figlio tornerà a vivere in Italia” diceva “Non so quando ma lo farà”. Concludendo l’intervista apparsa sulla Gazzetta con un “Ma intanto un piede nell’Olimpia l’ha già messo”.

Non tutto però fu rose e fiori: già a gennaio si leggeva su giornali delle “intromissioni” di Joe Bryant nella gestione della società all’insaputa di Caputo, delegittimando il coach Crespi e facendo perdere i riferimenti alla squadra. Ne pagherà le conseguenze anche il general manager Olimpia che abbandonerà il club dopo anni di grandi successi lasciando il suo ruolo allo stesso Caputo, uscirà di scena di Dan Peterson coinvolto nel progetto fin dall’inizio come consulente e dimissionario anche lui e sarà assegnato a Cinzia Lauro, già segretaria del club, il ruolo di team manager. Caputo arriverà addirittura a dichiarare alla Gazzetta che “se non c’è risposta, se proprio qui non si decolla, sposto la squadra a Bari”.

Anche il rapporto con la stampa non decolla e a distanza di un anno dal suo arrivo, si inizia a leggere dei dispetti e quindi della guerra tra i due soci per il controllo, e che si parlerebbero solo tra avvocati. La squadra è in mano a Bianchini ma non si intravede un progetto. Si racconta, come esempio di un declino inesorabile, che Mike Brown, ex Desio, avrebbe rifiutato di arrivare a Milano dopo avere scoperto in aeroporto del suo volo in “economy”. I tifosi, sempre gli ultimi ad arrendersi, organizzarono un sit-in di protesta in occasione del CdA del 31 luglio 2000 dove si sarebbe cercato di raggiungere un accordo tra i due soci, anche sulla base di una proposta di Bryant e Kobe di acquistare l’intero pacchetto societario. La soluzione non venne trovata e la disputa si spostò oltre oceano dove risiedevano le società americane che controllavano l’Olimpia.

Qui la storia integrale

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