Giorgio Viberti, storica firma de La Stampa, nella giornata di ieri ha regalato ai suoi lettori una bella intervista con Arthur “Art” Kenney. Ecco alcuni passaggi:
Cominciai da esterno perché non ero altissimo ricorda . Poi arrivai in fretta a oltre 2 metri e così ricoprii un po’ tutti i ruoli, anche da centro
Al liceo, alla Power Memorial High School di New York, divide il campo con il compagno Lew Alcindor:
Mi stoppava spesso e imparai a cavarmela lo stesso. Capii che se riconquistavo la palla avevo un’altra chance di segnare
D’estate facevo dei tornei in Italia con altri americani, allenati di Jim McGregor. Visitai anche Milano, la città del Duomo, della moda, della Scala. E la trovai bellissima
Nel maggio del 1970 ricorda Kenney presi l’aereo da Parigi per fare un provino al Palalido di Milano contro l’All’Onestà, l’altra squadra della città. Poi andammo in piazza Risorgimento, al ristorante “Da Luigi”, e lì firmai il contratto. Non mi pareva vero di giocare nel team dei miei connazionali Bradley e Thoren, che nel 1966 da New York avevo visto in tv sulla Abc vincere la finale di Coppa Campioni con Milano contro lo Slavia Praga. Ricordo anche Vianello, Riminucci, Masini, il giovane Iellini…
Imparai in fretta l’italiano, era indispensabile perché allora in Serie A c’era solo uno straniero per squadra
In una trasferta a Belgrado inseguii fin sugli spalti il play avversario Slavnic che aveva scalciato a tradimento coach Rubini, un signore e un grande allenatore. La folla mi assalì e io per liberarmi colpii un poliziotto. Nella rissa Brumatti si ruppe un polso e io fui espulso. Perdemmo quella partita, ma ci vendicammo vincendo la finale di Salonicco proprio contro di loro
Nella mia prima stagione italiana mi feci male a una caviglia proprio prima del match a Varese, ma chiesi al massaggiatore Angelo Cattaneo di farmi un’iniezione nel piede attraverso le fasce. Avevo male e volevo giocare lo stesso. Non bastò per spuntarla, ma al ritorno vincemmo noi
E arrivò anche uno Scudetto:
Si giocò a Roma e mi votarono miglior straniero del campionato, mentre Meneghin fu il miglior italiano. Io e Dino eravamo simili, non volevamo mai perdere. Mai! Proprio nel 1972 ci prendemmo a botte dopo che Dino mi fermò duro a tempo scaduto. Poi mi disse che nel frastuono non aveva sentito la sirena. E tutto finì lì. Meneghin è stato grande, mi sarebbe piaciuto giocare con lui. Siamo diventati amici anche perché a metà carriera decise di lasciare Varese per giocare a Milano
Consigliai a Sylvester di giocare come oriundo a Milano e anche a McAdoo di venire all’Olimpia, una società unica
ogni volta che leggo qualcosa del Mitico Arturo, mi vengono gli occhi lucidi, ha vissuto meno di 3 anni anni a Milano, ma quando ne’ parla dimostra sempre l’ attaccamento che ha avuto verso la Ns. citta’ e la maglia che ha indossato, un mito sempre!
Un grande! Grande persona innanzitutto e grande giocatore. Pochi hanno amato la canotta biancorossa come lui.