Sergio Rodriguez era a casa oppure in vacanza, perché quando vieni da Tenerife e i concetti coincidono, vale tutto. Venne richiamato d’urgenza a Madrid, perché la sua squadra dell’epoca, l’Estudiantes che l’aveva prelevato da Bilbao che a sua volta l’aveva prelevato da Tenerife, era impegnata nella finale per il titolo spagnolo, ma non aveva abbastanza playmaker. Corey Brewer si era infortunato e serviva qualcuno da utilizzare contro il Barcellona in caso di estrema necessità. Sergio tornò indietro, andò in panchina e nel finale fece il suo debutto dopo il quinto fallo di Nacho Azofra. Un’entrata fantasiosa a difesa schierata lo portò dritto al ferro. Reverse, tabellone e canestro. Era il 2004. Aveva appena compiuto 18 anni.
Tanto per essere chiari: Sergio Rodriguez era un giocatore creativo, dai passaggi illuminanti, veloce in campo aperto, ma aveva nel tiro – allora – il suo difetto. A dimostrazione di quanto il lavoro possa correggere i difetti: oggi Rodriguez è sesto di sempre in EuroLeague per triple messe a segno ed è l’unico tra i primi 10 che abbia oltre il 40% in carriera. Nei due anni successivi all’esordio nella Finale della Liga ACB, Rodriguez fece il suo debutto in EuroLeague e diventò così credibile da potersi dichiarare per i draft NBA con due anni di anticipo rispetto al normale. Nel 2006, a New York, venne scelto da Portland. Di lì a poche settimane avrebbe conquistato l’oro mondiale con la Nazionale spagnola. Portava i capelli rasati e non aveva la barba. “La sperimentai per la prima volta in vacanza a Mykonos dopo le Olimpiadi del 2012, quando vidi tanta gente che portava queste barbe lunghe. Pensai che portasse fortuna e mi stava bene. Ed eccomi qui”. Il numero 13 invece se lo trovò addosso e da allora lo indossa tutte le volte che è disponibile, come è successo a Madrid, a Mosca e a Milano. Non a Philadelphia: “L’hanno ritirato, era il numero di Wilt Chamberlain. Il 13 per qualcuno è sfortuna e per altri è fortuna. A me porta fortuna”.
Fortuna è una parola che Rodriguez cita spesso nel descrivere la sua carriera. Ha avuto la fortuna di giocare nella NBA, prima da giovane e poi da giocatore maturo, di vestire la maglia bianca del Real Madrid, di vincere l’EuroLeague a Madrid davanti alla sua gente e con il CSKA Mosca davanti al Real Madrid, battuto in semifinale. “E ora ho la fortuna di essere a Milano e in questo momento della mia vita e della mia carriera non esiste posto migliore”, dice. Nella NBA ha giocato a Portland, Sacramento e New York, dove lo allenava Mike D’Antoni. “Poter giocare al Madison Square Garden e chiamarlo casa è impagabile, purtroppo non era il momento migliore”, ricorda. I suoi idoli crescendo erano Raul Lopez, playmaker spagnolo della generazione precedente la sua, Allen Iverson e Jason Williams, White Chocolate, il playmaker dei Kings e poi di Miami che aveva inventato in pratica il passaggio con il gomito. “Mi piacevano i giocatori del mio ruolo, creativi e che giocavano per vincere”, ricorda.
Quando chiuse con la NBA ebbe la fortuna – ancora – di giocare nel Real Madrid. “Fin da bambino tifavo per il Real Madrid, anche mio padre tifava. A scuola, a Tenerife, eravamo divisi tra chi sosteneva il Real e chi parteggiava per il Barcellona”, ricorda. Pur fedele alle sue origini canarie, gli anni decisivi della sua vita li ha trascorsi a Madrid, prima di andare nella NBA e al ritorno quando nel 2014 fu MVP di EuroLeague partendo sempre dalla panchina. Madrid è casa per El Chacho. I suoi furono gli anni del “Chachismo” che vuol dire uno stile di gioco basato su fantasia, creatività, un attacco esplosivo. Rodriguez partiva dalla panchina. C’era lui e c’era Sergio Llull in squadra, c’era anche Rudy Fernandez. Tanti giocatori spagnoli, come Felipe Reyes tra i lunghi, che hanno fatto la storia della Nazionale. Una storia che ha vissuto il capitolo forse più inatteso con l’oro di Pechino 2019. Rodriguez non c’era “perché dopo due anni a Mosca, spesso senza la mia famiglia, avevo bisogno di staccare la spina, recuperare anche mentalmente”, dice.
A Milano è con la moglie Ana, che ha studiato a Roma e parla benissimo l’italiano, e le due bellissime figlie bionde che occupano tutto il suo tempo libero, e tante ambizioni per il futuro. “Spero di rimanere qui molti anni, gli obiettivi sono gli stessi, lavoriamo duro, lavoriamo per vincere, serve tempo per elevare il rendimento di tutti e conoscerci meglio ogni giorno. Le strutture sono al top, Milano ha un grande futuro davanti, e giocare al Forum mi esalta. Quando è pieno, l’atmosfera diventa magica, e rendere orgogliosi i nostri tifosi è quello che vogliamo fare”. Oggi è ad Alicante, a casa della moglie: la famiglia era rientrata in Spagna durante la pausa per gli impegni delle nazionali, poi è scoppiata la crisi sanitaria e Sergio ha dovuto anche osservare la quarantena dopo il caso Trey Thompkins. Quando l’ha terminata, è salito in auto per raggiungere la famiglia. Lontano da Milano con il corpo, vicinissimo con il cuore e la testa.
Anche noi lo speriamo 🙂
Fino a quando vuole giocare? 40? Se Milano gli manca tanto perché è scappato in macchina fino ad Alicante? Per stare in quarantena e poi rifare la quarantena quando torna?
Anche noi 💪💪😁😁
Complimenti vivissimi per l’arguto commento su Rodriguez “scappato in macchina”.
Non ho parole, salvo aggiungere che i blog sono davvero lo specchio di un ampio spettro di sensibilità e intelligenza.
Amplissimo.
Premesso che amo Rodriguez quanto James magari non sarà scappato ma certamente non è neanche normale che si faccia un viaggio così lungo in auto pur di tornare a casa..sono i modi e i tempi che hanno lasciato un po’ perplessi considerando che nemmeno la Spagna se la passa così bene.