La realtà parallela dell’Olimpia dopo Pesaro, tra una una psicologia a pezzi ed una pallacanestro latitante

Parlare di basket, ciò che amo e preferisco a qualsiasi altra cosa, in certi momenti diventa difficile. E lo diventa per l’imbarazzo totale che determinate situazioni sono in grado di creare. Se poi accade che molto di quanto in essere fosse largamente prevedibile con mesi di anticipo, quell’imbarazzo si può perfino trasformare in disagio. Perché non c’è niente di peggio del dover constatare come fosse tutto scritto.

Disagio, appunto, quello che emerge chiaramente dopo una gara come quella tra Milano e Pesaro, cui i bistrattati appassionati milanesi hanno dovuto assistere in un tardo pomeriggio di fine aprile in cui le soluzioni alternative avrebbero potuto essere tantissime. Certamente tutte più valide e soddisfacenti rispetto allo spettacolo inscenato dai biancorossi padroni di casa.

Parlare di basket, dicevo, ma come si fa? Come si può provare ad analizzare tecnicamente una partita in cui i valori in campo sono talmente sbilanciati a favore di una parte mentre il risultato ne ribalta totalmente logiche e conseguenze, anche nell’ottica di un campionato intero, almeno per ciò che riguarda Pesaro?

Merito a Pesaro, che giocava per la sopravvivenza ed ha fornito una prova convincente, sulla base dei propri valori, trovando però un terreno assolutamente fertile grazie ad un’opposizione pressoché nulla da parte dell’Olimpia.

Olimpia della quale ritengo necessario valutare più il profilo psicologico del momento, rispetto ad una situazione tecnica che in fondo, non presenta nulla di nuovo, se non gli stessi problemi che attanagliano la squadra ormai da inizio stagione, con rarissime eccezioni positive.

  • Simone Pianigiani. Al solito, pare il nocciolo della questione. Che Milano giochi male è cosa appurata da quando è in mano al coach senese, che le sue esternazioni, che valuterò in seguito, siano a volte clamorosamente inadeguate, pare cosa nota a quasi tutti. Ma che si possa ritenere l’allenatore unico responsabile di una situazione già vista e rivista nel passato più o meno recente, questo è assolutamente errato. E’ palese che se una squadra gioca e rende come Milano, con le possibilità del suo roster e con i poco più che normali problemi avuti in stagione, qualunque allenatore debba essere pesantemente sotto esame, tuttavia ritengo che vi sia molto più di una semplice cattiva gestione tecnica. Ed a mio modestissimo parere si tratta di quella che in passato venne definita come un’eccessiva “comfort zone” concessa a tutti i tesserati milanesi, in cui quanto dato agli stessi è sempre stato ben più di quanto richiesto agli stessi. Nello sport, come nella vita, è sbilanciamento letale. Le parole di ieri del coach in sala stampa, che poi sono le stesse da quando guida Milano, sono guida in questo ginepraio.
  • Apprendiamo che vi sarebbe uno “stato d’ansia” di alcuni (tanti?) protagonisti: molto chiaro e condivisibile, ma sarebbe basato su cosa? Pressione? Nel caso da parte di chi? Milano è ambiente difficile, vero, ma tale difficoltà è creata dall’ambiente stesso, non certo da situazioni esterne come avviene in tante altre città di basket e di sport. Non si vivono gioco e risultati come in altre piazze storiche della pallacanestro italiana, dove la febbre è ben più alta e le conseguenze, spesso, possono divenire più “invasive” della sfera personale per gli atleti. In fondo da queste parti, oltre ai soliti “ben informati” che hanno visto Tizio o Caio in Corso Como, non si va mai. Ed allora? Ed allora arriva il budget, il vero protagonista milanese, il “top player” che fa vincere o perdere. Incredibilmente, da citare alla bisogna.
  • Eccoci a quel maledetto budget, quindi. Che, nelle parole del presidente nella recente intervista al Corriere della Sera, è causa della mancata competitività in Eurolega, ma non è garanzia di successo in Italia. Insomma, caspiterina! Non competo in Europa perché gli altri spendono molto di più, ma non vinco con continuità in Italia perché spendere di più non è sufficiente. Delle due, l’una, si potrebbe obiettare. Magari tenendo conto che in Europa è discorso che vale molto limitatamente, poiché, senza dati ufficiali, faccio fatica a pensare che Stella Rossa, Bamberg, Malaga e Zalgiris, solo per citarne alcune tra quelle in classifica davanti (che poi sono tutte, Efes escluso), abbiano messo in campo disponibilità finanziarie maggiori a quelle di Milano. Detto questo, quale può essere l’impatto di tali considerazioni su una squadra? Come si sentirebbe qualsiasi individuo in un ambiente di lavoro in cui il capo dichiara da un parte che i “competitor” hanno mezzi maggiori quindi non c’è nulla da fare contro di loro, mentre in altro ambito, dove i mezzi aziendali sono infinitamente superiori a quei “competitor”, quegli stessi mezzi non sono in grado di diventare  garanzia di successo costante? La risposta è sufficientemente scontata.
  • La chiarezza nella comunicazione, oggi, pare essere tutto. Nel dopo Firenze abbiamo appreso che era stato fatto un lavoro in allenamento di grande impatto per ricostruire anche fisicamente una truppa che era parsa allo sbando. Oggi ci viene detto che, visto il contesto temporale ad una decina di giorni dai Playoff, il carico di lavoro è stato notevole e tutto volto a trovare la miglior condizione per la fase decisiva della stagione, in cui vi sarà (per tutti, non solo per Milano) l’impossibilità ad allenarsi. La squadra, nelle parole del suo allenatore, ha vissuto «mancanza di energie ed una situazione che, come sapevamo, è questa» fin dai primi giorni di ottobre, e non è mai stata quindi in grado di esprimersi al meglio a causa di questo stato di cose. Allora mettiamola così, supponiamo che Pianigiani abbia ragione e che non si tratti di scuse preconfezionate: ma allora da qualche parte ci sarà un responsabile o no? A meno che non si pensi in modo assai ilare che sia il budget… Ma torniamo a bomba al concetto precedente: che messaggio si dà al proprio esercito quando ogni sconfitta viene giustificata da eventi incontrollabili al fronte, di cui nessuno è ritenuto colpevole? E’ un’altra risposta scontata.
  • L’esempio più chiaro di tutta questa faccenda, riguarda una fase tecnica precisa. L’Olimpia vive e muore di abuso di “pick and roll” sin dalla amichevoli di agosto. Non è parere personale ma statistica presentati da egregi e capaci studiosi. Pare di conseguenza logico che quel movimento tecnico sia il più utilizzato, studiato ed allenato in palestra. Il che vuole dire che, tra le mura della Secondaria del Forum, vi sarà un quintetto che attacca ed uno che difende: praticamente uno spartito da recitare, sui due lati del campo, a memoria. Ebbene, subire senza opporsi da Sloukas e Vesely è quasi scontato, ma farlo allo stesso modo da Monaldi ed Ancellotti diventa difficilmente comprensibile, usando dei dovuti eufemismi. Con tutto il rispetto del mondo verso questi atleti che hanno fatto il loro ed anche di più, meritando l’applauso e l’ammirazione di tutti per lo sforzo profuso nel momento più difficile. E’ accettabile sentire dal coach che «pensavamo di avere dei lunghi ma poi abbiamo dovuto fare con degli altri?». Oggi si piange l’assenza di Young? E’ questa la risposta? Per giungere all’assurdo di un «non siamo così lunghi in certi ruoli». Dinanzi a Pesaro? Che ha avuto problemi di falli abbastanza rapidi ed un coach che ha dovuto giocarsi alcuni possessi con Michele Serpilli (che mi piace molto), neo 19enne di 198cm per 98kg, con la bellezza di 101 minuti  e 14 punti totali in stagione, contro i centri milanesi? Francamente vi sono dei limiti, anche in ciò che si vuole far credere. E questi limiti, da tempo, sono abbondantemente stati superati.

Ecco perché l’Olimpia vive in una realtà parallela, una sorta di autoconvincimento di situazioni che il gioco regolarmente smentisce e che, psicologicamente, trasformano un roster comunque valido in una squadra dall’equilibrio psicologico estremamente sottile, pronto a crollare in ogni momento. Come accade, sinistramente allo stesso modo, ormai da anni.

11 thoughts on “La realtà parallela dell’Olimpia dopo Pesaro, tra una una psicologia a pezzi ed una pallacanestro latitante

  1. Non puo’ certo essere colpa di Pianigiani. Sicuro: Portaluppi e Proli hanno le loro belle responsabilita’ se una squadra non tende come deve per troppi anni a fila.
    Il coach e’ davvero diventato poco credibile con le sue giustificazioni inesistenti che fanno male al morale di chi gioca. La socita’, che permette cio’, contribiusce al disastro.
    Certo: anche chi va in campo (con poche eccezioni) non e’ immune da colpe. Ma allora la domanda e’: che senso ha continuare cosi’?
    Non sono deluso per i risultati in se’ ma per come maturano. Avere in squadra dei mercenari ci sta, e’ la conseguenza del basket moderno. Ma avere gente che non ha nemmeno un pizzico di orgoglio personale e’ sconcertante.
    Io non vedo soluzioni se non rifondare tutto, tenedo i soldi e la passione del sig. Armani e basta. E che non mi si parli di scudetto, di squadra favorita. Venezia e’ dieci volte piu’ compatta, forte e coesa di noi. Trento ha piu’ voglia e energia. Persino Brescia diventa osso duro per una squadra che non ha gioco e soprattutto e’ mentalmente fragile e instabile. Godiamoci dunque i play off certi di parteciparvi come outsider, contenti di arrivare sin dove si riesce ma senza alcun obbiettivo realizzabile perche’ questo gruppo (giocatori-tecnici-dirigenti) non hanno alcuna potenzialita’ reale di fare buon basket.

  2. La delusione è fortissima.
    Ieri abbiamo visto di nuovo una squadra allo sbando, senza leader in campo, con l’allenatore molto confuso.

    C’era una cosa sola che stava funzionando, ed era l’asse Cinciarini Jerrels, che avendo finalmente la fiducia dello staff, l’alternanza dei minuti, e la richiesta di performare, aveva risposta molto bene dando personalità e risultati alla squadra.
    Inserire Theodore in quell’embrione di squadra sarebbe stato delicatissimo. Purtroppo si è provato nei fatti che l’innesto non solo non è riuscito, ma è molto dannoso. Dovendo spartire il ruolo in tre, Cinciarini e Jerrels hanno perso la brocca, e la squadra con loro.
    È un fatto psicologico, sono d’accordo con te: un conto è sentire di avere la squadra in mano, un conto e sentire di essere soltanto un pezzo del meccanismo a tre vie.
    Cinciarini e Jerrels non ce la fanno a giocare così, e Theodore non aggiunge niente, ma purtroppo toglie parecchio. Sarebbe stato il caso che lo staff prendesse le proprie responsabilità, basate sui fatti, facesse una scelta difficile, e lo lasciasse fuori. Niente di personale contro Theodore, ma ormai sono i fatti a parlare contro di lui.
    Ma Pianigiani così come si adegua alle altre squadre e non impone il suo gioco, non è uomo da decisioni forti.

    Psicologica dev’essere anche l’incredibile imprecisione al tiro delle ultime partite. Che Bertans possa sbagliare tiri apertissimi in una partita, ci può stare, in due partite di fila molto meno. E Kuzminskas, e Pascolo il solito lay up.
    Lì c’è qualcosa di profondamente sbagliato che impedisce a questi giocatori di fare quello che sanno fare. Purtroppo non ho idea di cosa sia.

    C’era una squadra che funzionava, bisogna tornare a quella per il finale di stagione, il tempo degli esperimenti è finito.
    Gerarchie chiare, minuti a chi dà garanzie, e via andare, che qualcosa di buono s’era visto, e ovviamente c’è.
    E se i giocatori sono sempre o stanchi perché giocano troppo, o appassiti dal troppo carico perché si preparano a giocare troppo, allora va cambiato il preparatore. O qualcosa nello staff.
    È un motivo che ha rotto le scatole: sembrava una difesa dei giocatori, ora invece sembra soltanto l’eco della mente del coach: forse è Pianigiani a essere troppo stanco o troppo sotto carico. E basta!

    Perché non fosse per altro, quei due meravigliosi lunghi da 22 punti e circa 20 rimbalzi a partita messi insieme, funzionano praticamente sempre, anche in giornate assurde come ieri, e sono un vantaggio pratico e garantito. Non è il caso di buttarlo via.

  3. E’ chiaro che se l’ultima in classifica, priva del suo giocatore più talentuoso (Mika), viene ad espugnare il Forum sulle ali di Bertone ed Ancellotti, diventa in effetti difficile trovare le parole per commentare qualcosa. Al tempo stesso, credo che una sconfitta in RS – per quanto inaccettabile per modi e circostanze – non debba essere drammatizzata eccessivamente, perché i conti si faranno alla fine e sarà la vittoria o meno dello scudetto a decidere se la stagione sarà tutt’altro che esaltante ma comunque sufficiente, o un fallimento totale. Era eccessivo considerare lo scudetto una formalità dieci giorni fa sulla scia dei 9 successi consecutivi, è eccessivo considerarlo una chimera adesso dopo due sconfitte molto diverse per modi e gravità, ma che lasciano intravedere perplessità non così diverse riguardo alla personalità di questo gruppo. Personalmente a differenza di Marzagalia non ritengo che fosse tutto “già scritto”, perché imho la carriera di Pianigiani anche fuori da Siena non parla di un perdente o di un allenatore poco capace, e se la mettiamo sul piano dell’opportunità dell’ingaggio per i trascorsi passati, ci sarebbe da dire che il tecnico ad aver fatto le cose di gran lunga migliori in questi anni a Milano è Luca Banchi che proveniva dalla medesima realtà… E’ altrettanto vero che a oggi, l’operato del tecnico senese è criticabile perché non è riuscito a dare una identità tecnica, a oggi è così, poi i primi bilanci che contano davvero si faranno a fine stagione. Concordo che spesso le sue uscite in conferenza stampa siano discutibili, ma alla fine ieri ha esordito prendendosi le sue responsabilità e chiedendo scusa. Certo è difficile capire come Kuzminskas (29 anni, esperienza in NBA e due finali agli europei con la nazionale) possa soffrire di “ansia” per partite di regular season LBA. Il sospetto della partita di ieri è che Goudelock, pur con tutti i difetti che si conoscono, contro squadre così modeste sa spesso tirare fuori dal nulla quei 15-20 punti di puro talento che oscurano la carenze generali. Inoltre in tutte e tre le sconfitte di questa seconda parte (Pesaro, Brescia, Varese) si è notato un attacco confuso di fronte alla zona avversaria, e se si sbaglia un numero abnorme di tiri concessi con metri di spazio i risultati sono questi. Da incorniciare il paragrafo del post dove si parla dell’eccessiva comfort zone concessa a Milano, dove la pressione è in realtà nulla (leggere intervista a Bourousis quando se ne andò) e dove sembra che ai giocatori non venga chiesto abbastanza. Purtroppo la società è questa, potranno continuare a cambiare allenatori e giocatori in continuazione, ma per quanto non esenti da colpe non sono essi i responsabili principali, bensì coloro al piano di sopra che creano un ambiente di lavoro di un certo tipo.

  4. Le esternazioni di pianigiani in conferenza stampa sembrano quelle di un ceo quando la trimestrale aziendale va male per il cambio euro dollaro. In tutte le aziende questa diventa una scusa, non uno sprone. Se aproli serve un consulente per capirlo abbiamo trovato il problema.

  5. Le
    Uniche Cose che devono cambiare non cambieranno mai , quindi inutile parlare di altro ….

  6. Andiamo tutti nella medesima direzione: Pianigiani non e’ un fenomeno e non e’ “uomo da decisioni forti”. La societa’ non sa imporre filosofia e mentalita’ vincente. I giocatori si impegnano il giusto e sono mediamente instabili dal punto di vista psicologico (sportivo, of course). Insomma: cosa c’e’ che funziona in questa Olimpia?
    Personalmente ritengo che non vi siano le basi per una post season esaltante. Arrivera’ certamente qualche vittoria perche’ il materiali non e’ inferiore ad altri, in lba. Ma non parliamo di scudetto, di essere favoriti, di vittorie. Questa e’ una squadra instabile che si sciogliera’ alle prime difficolta’ (leggere ansia di prestazione per l’obbligi di vincere – Firenze docet).
    E le colpe, come sempre, sono da suddividere. Certo e’ che in qualunque sport di squadra il condottiero e’ il coach: e’ a lui che spettano scelte tecniche, di lavoro, di motivazione. Se chi deve “comandare” non lo fa, spalleggiato dalla dirigenza…. auguri a tutti!

  7. C’è solo una soluzione: via Proli dall’Olimpia, o perlomeno lontano da qualunque cosa che anche solo assomigli ad una decisione tecnica relativa alla pallacanestro. Che si occupi di nani e ballerine e merchandising, almeno quello lo sa fare bene. Squadra in mano ad un GM esperto e pluripotenziario (un Gherardini, Baiesi, Trainotti solo per fare qualche nome) con totale appoggio da parte della società, che si prenda le responsabilità delle scelte tecniche e sappia dare i giusti input a staff e giocatori. Non me la prendo neanche troppo con Pianigiani, ormai è ovvio chi sia il vero serio problema di questa massa informe che non mi sento più di chiamare Olimpia. Ho 42 anni e il cuore Biancorosso da quando ne avevo 7, ma non metterò più piede al Forum fino a quando Proli non se ne andrà.
    #VIALIVIOPROLI

  8. Per chi se la fosse persa, riporto un’affermazione che fece Pianigiani a novembre a Tel Aviv nella conferenza stampa insieme a Goudelock coi giornalisti locali il giorno prima della partita. Pianigiani commentando il contesto societario milanese in cui stava lavorando da qualche settimana disse: “There is no stress on the result, but there is the stress about the style of work”. Tutti i problemi di Milano in una sola frase.

  9. Nella sua intervista delirante al corriere , proli ha confermato per intero lo staff anche per l’anno prossima stagione ; buono a sapersi , così evitiamo il problema di andare a palazzo per un anno , e la gioia stara nel vedere 1000 persone sugli spalti in campionato , e loro abbandonati nella melma che hanno creato

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