Alt ai facili entusiasmi. L’Olimpia Milano ha dato un segnale, ma la necessità si chiama continuità

Essere Milano, significa anche cadere e rialzarsi, evidentemente. Dopo l’umiliante lezione di Firenze, firmata da una piccola (ma grande, immensa) Cantù, l’Olimpia ha segnato 116 punti a Sassari nel mezzo delle vittorie con Efes e Khimki in EuroLeague.

Sì, c’è anche il ko (senz’arme) del 22 febbraio a Istanbul, ma poco cambia per un romanzo che proprio dopo la Coppa Italia prevedeva il capitolo dal titolo «Spalle al muro (chiodato)». Perchè Simone Pianigiani prometteva in estate una squadra competitiva proprio dalle Final Eight, passando poi per rimarcare la precarietà dell’evento. Certamente, tre gare ravvicinate possono anche essere figlie dell’episodio, ma i 17 punti di Carlton Myers del 7 febbraio 2008 non possono essere paragonati ai 23 di Smith, ai 19 di Chappell, ai 16 di Thomas o ai 12 di Parrillo.

Detto questo, il momento resta sorprendentemente positivo, perché un successo a Mosca contro una squadra in corsa per i playoff è sostanza, anche se privo di quell’ansia che in Italia è costata, e può ancora costare, carissima.

Ma cerchiamo di analizzare brevemente tre punti focali, in attesa della gara di domenica a Bologna, con rientro di Alessandro Gentile annesso.

Non siamo al cospetto di una primizia emozionale. Il 10 dicembre l’Olimpia vive il primo momento drammatico cadendo a Torino contro Luca Banchi poco dopo il bruciante ko di EuroLeague con il Khimki (anzi, Shved). In chiusura di 2018, arrivano la buona battaglia dell’Oaka e il successo sul Baskonia in EuroLeague, la facile affermazione nel derby con Cantù e la rimonta con Brescia in LBA. Un mese dopo, il 29 gennaio, ecco la lezione nel derby di Varese. Milano, più che battere Capo d’Orlando e Brindisi in campionato, passa a Barcellona, per un successo di prestigio che mancava da tempo. Insomma, piccole reazioni ci sono sempre state, il problema è la continuità. Dunque, tempo per giudicare;

Curtis Jerrells. Solo numeri. Il punto più basso, come noto, sono i 9’ del derby di Coppa Italia, con 0/3 al tiro. La sua avventura milanese inizia con 6 gare da urlo: 29’ di media (con due tempi supplementari), 15 punti (il top i 30 all’esordio con Valencia) e 67 conclusioni tentate. Le 9 gare di gennaio che avvicinano alle Final Eight raccontano altro: 19’ di media, 7 punti per 65 conclusioni e dato che non può essere quantificato, ma evidente, il nulla difensivo. E arriviamo alle 4 prestazioni post Firenze: 22’, 13 punti, 33 conclusioni tentate;

Andrew Goudelock. Nelle tre gare di marzo viaggia a 19 punti di media, con il top dei 26 a Mosca. La domanda che tutti si pongono è questa: il problema è la convivenza con Theodore? Il play USA, innegabile, ha tenuto le chiavi in mano della squadra sin da quest’estate. Per la logica del ruolo, ma anche per essere stato l’obiettivo più inseguito sul mercato. La coppia non funziona sul lato difensivo, e ogni squadra, a qualsiasi latitudine, trova proprio nella fase senza palla l’energia, l’entusiasmo e l’inerzia per vincere un match. Forse, la vera domanda, è: il problema è tecnico o attitudinale? Il Maccabi lotta per i playoff con elementi come Pierre Jackson e Norris Cole, senza dimenticare John Dibartolomeo. Il problema è chiedersi se i vari Jerrells, Bertans, Abass e Micov possano riequilibrare il tutto (anche solo a livello fisico) come i vari Michael Roll e Deandre Kane…

Alessandro Luigi Maggi

2 thoughts on “Alt ai facili entusiasmi. L’Olimpia Milano ha dato un segnale, ma la necessità si chiama continuità

  1. Non credoche milano sia quella do oggi come non credo sia quella di Firenze. Certyo e’ che con JT l’equilibrio di squadra non c’e’ mai stato. Che ci si ricordi alla fine della stagione.

  2. Milano potrebbe essere davvero quella di oggi, speriamo che lo sia, speriamo che lo dimostri. Certo l’ostacolo potrebbe essere proprio Theodore. Come dice l’articolo “per essere stato l’obiettivo più inseguito sul mercato”.
    Potrebbe essere il momento di riconoscere che quell’inseguimento – sulla carta giusto – purtroppo si sia rivelato un errore. Un peso psicologico e tecnico insopportabile. Un fiore mai sbocciato. Chiudere la pagina e ricominciare dalle ultime tre partite.
    Perché la sensazione è che siano cambiati non soltanto i risultati, ma soprattutto lo spirito della squadra, la voglia. È giusto attribuire a Theodore tutte le colpe? Forse no. Però ci sono molti indizi. E se dichiarare un fallimento il tentativo fatto su di lui ci porta a un gran finale di stagione, beh… è un passo che si potrebbe tentare.
    Speriamo che lo staff legga Real Olimpia Milano 🙂

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