Milano perde anche con Venezia: se l’Europa è un incubo, l’Italia è un’emergenza

In fondo potrebbe non essere nemmeno andata così male, visto il tabellone di Coppa Italia. In fondo si potrebbe pensare che entrambe le gare con le rivali potenzialmente più pericolose sono terminate all’ultimo tiro. In fondo si potrebbe perfino credere che sia in corso un reale processo di crescita, sia tecnica che psicologica, del gruppo. In fondo si potrebbe perfino essere ottimisti in casa milanese, pensando realmente che i trofei si assegnano tra un mese (Coppa Italia) e tra quattro-cinque (LBA, mentre Eurolega è termine da evitare accuratamente).

In fondo si potrebbe… certo, perché l’Olimpia oggi è solo un “potrebbe”, “vorrebbe”, “penserebbe” e “crederebbe” che si scontra con la realtà. La quale dice che se in Europa è disastro completo (4-13), in Italia le cose non vanno di certo bene (11-4). In sostanza Milano perde più gare di quante ne vince. E “dovrebbe”, non solo “potrebbe”, giocare a pallacanestro, cosa che accade con la stessa frequenza  con cui in Italia leggiamo un programma elettorale chiaro e condivisibile.

Milano gioca a caso ed a sprazzi: lo fa da 32 gare, 34 se vogliamo includere pure la Supercoppa, vinta comunque meritatamente. Da qualche tempo pare che il regolamento preveda gare di 40′, al termine delle quali si assegnano vittoria e sconfitte: non si ha notizia di premi di consolazione per parziali di 10 minuti o per sconfitte in cui “parrebbe” (ci risiamo…) che vi fosse stata competizione.

Che il giudizio non sia definitivo è palese, e non certo per la serie di giustificazioni che ormai siamo tutti abituati a sorbirci dopo ogni gara: gli allenatori, anche quelli meno brillanti tecnicamente, vanno lasciati lavorare per un certo periodo di tempo. Tutti, o quasi, oggi si confrontano con una realtà che dice di cambi di roster continui, quindi non è nemmeno questa una storiella credibile, mentre è invece verissimo che una crescita tecnica necessiti di lavoro, lavoro e lavoro.

Non c’è tempo per questo a Milano, visto il tenore dei calendari? Ok, ma se è fosse così, allora sarebbe stato meglio non accettare un posto di lavoro la cui “comfort zone” è decisamente elevata, assolutamente troppo (società puntualissima negli obblighi, remunerazioni notevoli , organizzazione di primo livello, richieste nemmeno tanto elevate, pubblico estremamente comprensivo). Se non è chiaro a qualcuno, l’Olimpia ha una licenza decennale di Eurolega e ciò comporta viaggi, partite e sforzi di un certo livello: lamentarsene è ridicolo.

La gara di ieri dimostra una cosa che è lampante da inizio campionato: Venezia è un sistema che ha saputo inserire moltissimi nuovi tasselli adeguando la propria struttura tecnica alle novità. Johnson, Green (parzialmente), De Nicolao, Jenkins, Orelik (stagione però finita), Biligha, Cerella e Watt sono tanta roba da inserire e Walter De Raffaele lo sta facendo con competenza all’interno di un’organizzazione di gioco che sa perfettamente quello che vuole ottenere. E l’eccessiva perimetralità, spesso negativamente associata ai lagunari, è parte del gioco su cui il coach livornese sta lavorando, come dimostrano i 40 tiri da due contro i 24 da tre di ieri sera, nonostante l’assenza di Peric, che ha costretto Thomas Ress a ben 19 minuti sul parquet.

Il gioco dell’Olimpia sta lentamente peggiorando rispetto ad inizio stagione. Questa è la realtà. Che poi possa essere parte di un percorso in cui, nel momento della mancanza di fiducia, ogni piccola rampa pare l’Everest, può anche essere vero. Gli allenatori lo sanno bene, chi ha vissuto dentro una squadra lo sa bene: i mesi di novembre, dicembre e gennaio sono spesso lunghi tunnel al termine dei quali non si vede luce. Poi accade qualcosa, la retina comincia a frusciare, i ferri diventano amici e.. via, si può perfino volare. Ma per volare bisognerebbe essere almeno sulla pista di decollo, non fermi nell’hangar delle scuse banali e delle giustificazioni risibili. Oltre alle quali il campionato ha detto che Venezia, Avellino e Torino hanno battuto Milano, al pari di Sassari, sciaguratamente scomparsa dalla Coppa Italia ma non certo da sottovalutare: non considerare nemmeno questo è peccato mortale.

Andrew Goudelock, se ce l’hai, lo devi usare e lo devi fare con tanta perizia. Devi garantirgli i suoi spazi, devi inserirlo in un meccanismo in cui diventi ingranaggio e non sassolino, devi bilanciarne l’impatto sugli altri. Possiamo discutere per anni sul fatto che valga i soldi che prende etc, ma quella è tecnicamente aria fritta. Il punto è un altro: l’hai scelto, quindi devi lavorarci. Si è visto ben di peggio da queste parti.

La domanda che spontaneamente ogni appassionato di pallacanestro si pone di fronte alle prestazioni meneghine è molto semplice: come gioca Milano? Ecco, non si sa. Fatte salve le limitate competenze tecniche di chi giudica, logicamente sempre inferiori a quelle dei vari componenti degli staff, è veramente difficile capire cosa l’Olimpia voglia fare in difesa, cosa voglia fare in attacco, se voglia correre strutturalmente (qui si può azzardare un “no” secco) o lo voglia fare solo a seguito di una certa pressione difensiva. Domande ce ne sarebbero a decine, tutte esattamente legittime, perché lo spettacolo a cui assistiamo è, al momento, di bassissima qualità. Mentre gli interpreti, non lo sono affatto, se non in alcuni casi marginali.

E la sala stampa dovrebbe essere il luogo in cui a queste domande si offre un spiegazione, senza specchi su cui arrampicarsi e senza riproporre i soliti stucchevoli e banali concetti di fronte a qualsivoglia quesito. Ricordandosi magari che siamo a Milano e che dare in pasto alla gente un «in Italia siamo dove volevamo essere» è un concetto da brividi tecnici. Così come il novello “maniavantismo” che da ieri avvolge la Coppa Italia, riguardo la quale ci siamo sentiti dire che è manifestazione in cui «c’è una gara e se perdi finisce lì», mentre si deve essere pronti per i Playoff. A proposito, se fosse tra le dimenticanze, da quest’anno le semifinali si giocano 3 su 5, quindi il fattore campo ha un suo peso specifico differente ed i margini per sbagliare si assottigliano non poco.

Previsioni e pronostici sono sempre impresa azzardata, mentre le valutazioni sono invece possibili: l’Olimpia di oggi non ha nulla in più di Avellino, Venezia e Torino, casualmente tutte dall’altra parte di tabellone a Firenze, mentre se la gioca con le altre. “Siamo dove volevamo essere”? No, per niente.

Alberto Marzagalia

13 thoughts on “Milano perde anche con Venezia: se l’Europa è un incubo, l’Italia è un’emergenza

  1. Tolte 5-6 azioni, il basket di Milano di ieri sera e’ stato irritante. Peggio di quello visto contro il CSKA. Poi improvvisamente (?) si e’ svegliato Goudelock, e e’ diventato anche peggio, punti personali a parte.

    1. Goudelock ha iniziato il bombardamento sul -11. Da un -11, quando manca così poco, è più facile uscire con le giocate del singolo, che con il gioco di squadra. Insomma, bisogna segnare, e in fretta

  2. Abbiamo visto Theodore fare una scelta veramente sciagurata, nel momento decisivo del 4 quarto, quando ha tenuto il pallone fino all’ultimo secondo, andando poi a prendere un tiro che non è il suo, un tiro da 3. Sembrava Gentile, grandissimo talento, ma che voleva risolvere le partite da solo senza averne la qualità… Abbiamo visto Pianigiani spiegare più e più volte a Theodore, ancora ieri contro Venezia, che non deve giocare così, e Tarcewsky incazzarsi con lui di frustrazione, per palloni non ricevuti. Milano finalmente ha dei centri di valore, e in crescita. Adesso speriamo di trovare un play. Perché l’eroico Cincia non ha purtroppo il talento per muovere difese e creare squilibri, e Theodore ormai ha un po’ rotto col suo talento sterile di muovere le difese e creare squilibri, senza poi permettere alla squadra di approfittarne. Goudelock ha risposto molto bene alle critiche, speriamo che Theodore si prenda una cazziata di quelle vere, con tanto di paura, e reagisca altrettanto bene. Secondo me con un play che fa giocare la squadra, anche il rendimento dei 4, così deconcentrati al tiro (Pascolo e Kuzminskas), salirà di tono e di sostanza. Bella cosa la certezza di ricevere la palla con qualche vantaggio…

    1. Concordo sul fatto che Avellino e Venezia, al momento, hanno qualcosa in piu’ di noi. Concordo sul fatto che Milano non sia squadra: attacco improvvisato, difesa spesso slegata. Non siamo certamente dove avremmo voluto essere!!! E l’aspetto psicologico vale molto: se altre squadre sanno di poterci battere, perche’ lo hanno gia’ fatto, son dolori. Theodore e’ un globtrotter, non un play. Mi dimando chi l’ha portato a Milano….

    2. Tutto vero su Theo, ma io vedo che gioca cosi’ quando e’ in difficolta’ mentale (stanco), in altri momenti la palla la molla. Ha giocato troppo, e continua a farlo giocare troppo, l’alternanza con il Cincia dovrebbe essere un po piu’ verso il 50/50, in campionato questo non dovrebbe portare problemi. Poi sono opinioni per carita’.

      1. È necessario ammettere un problema di stanchezza, personalmente faccio fatica ad ammetterlo, ma torna su continuamente, a cominciare da Pianigiani, quindi. Theodore però gioca 28 minuti di media, tra EL e LBA. Non posso non accostarlo ai 38 minuti di media, per quasi 100 partite anno, delle star NBA, Lebron in testa, da anni. Qui non stiamo parlando di talento, ovviamente, ma di testa, preparazione, gestione dell’energia. I palcoscenici sono diversi dal punto di vista della motivazione personale? Ma sono anche diversi 38 minuti rispetto ai 28, per 100 partite anno, e non ci metto dentro i viaggi coast to coast. Per me quindi l’argomento incide molto poco. Sei stanco? Non ne dubito, ma sono convinto che sia un tuo (ulteriore) problema di gestione personale. Così come non vedi il campo, non vedi il tuo corpo. Purtroppo. (palmasco)

      2. Be’ dai in effetti non potresti 🙂 Ma non e’ sbagliato nemmeno il tuo punto di vista, devo riconoscerlo.

  3. Io un pensierino alle responsabilità di Fioretti e Cancellieri comincerei a farlo. L’unica costante in questi anni da mal di pancia. Praticamente dei miracolati. Il lavoro in palestra dovrebbe essere responsablità loro. Molto più del primo allenatore (chiunque esso sia).

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